di
Luciano Martinoli
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27 Settembre 2019

L’azienda, per raggiungere i propri scopi, ha necessità di disporre di risorse.
Esse possono essere tangibili (macchinari, immobili, materie prime acquistate,…) o intangibili (marchi, proprietà intellettuali, reputazione,…).
Le prime sono in genere esclusive, possono essere utilizzate da un soggetto alla volta: la materia prima da lavorare la uso io o, nel caso mi venga rubata, dall’autore del furto, non è possibile che venga utilizzata da entrambi. Le seconde, proprio in virtù della loro immaterialità, non sono esclusive e potrebbero essere utilizzate in contemporanea da più soggetti (contraffazione marchi, uso del know-how, …).
Le persone possono essere considerate “risorse” in questi termini?

Certamente sono tangibili, hanno dei corpi, ma non sono di proprietà dell’azienda. Questa li paga per il tempo che loro dedicano a svolgere delle attività, che in quel lasso di tempo non possono (non dovrebbero) dedicare ad altri, terminate le quali escono dall’azienda e fanno altro.
Sono però anche portatori e generatori di risorse intangibili, grazie alle competenze che hanno e che migliorano nell’ambiente di lavoro e alla rete di comunicazioni che instaurano che consente di creare de facto l’organizzazione. Le risorse intangibili che generano potrebbero anche essere utilizzate da altri, fuori dell’orario di lavoro (ma anche durante) e a beneficio di altri soggetti (i concorrenti).
Dunque gli esseri umani per l’azienda sono una sorta di paradosso: risorsa tangibile ma non esclusiva, al tempo stesso intangibile, per ciò che generano, ma esclusiva per il tempo e modo usato in azienda. A complicare il quadro tali risorse sono male e poco rappresentate nei bilanci ma essenziali per la sopravvivenza e continuità aziendale.

Dunque un paradosso col quale convivere e che necessita di essere rappresentato correttamente per avere qualche opportunità di evitarlo o semplicemente averci coscienza.

Il primo passo è affermare una volta per tutte che gli “umani” non sono “risorse” per l’azienda, almeno non strettamente. La dicitura “Risorse Umane” crea equivoci, si devono sfruttare le persone come tutte le altre risorse, e contraddizioni, sono risorse al tempo stesso tangibili e non.
Ma allora l’azienda cosa possiede davvero di ciò che le persone fanno al suo interno? Cosa è nella sua completa ed esclusiva disponibilità, non imitabile e non trasferibile altrove e dunque meritevole di attenzione e supporto?

Sono le comunicazioni decisionali, per semplicità le possiamo chiamare anche “relazioni”, che si instaurano quotidianamente tra tutte le persone in azienda e che consentono di dar vita all’organizzazione.
Anzi l’organizzazione è fatta di queste relazioni, non dalle persone che ne sono nel migliore dei casi solo una componente generativa. Una particolare competenza di un osannato talento o una specifica abilità di un oscuro operaio, certamente potrebbero essere utilizzati altrimenti in un contesto diverso, ma una decisione che scaturisce da quella competenza e da quella abilità in un preciso contesto temporale e spaziale, quello dentro l’azienda appunto, è unico e ha senso solo lì e in quel momento. E’ difficile parlare di proprietàdi questi elementi sostanziali e vitali per l’organizzazione, e lasciamo agli economisti l’onere della loro rappresentazione numerica, ma è questa l’essenza del ruolo delle persone in azienda: l’elemento decisionale che continuamente sono chiamati a generare. Chiunque abbia avuto l’esperienza di parlare di lavoro fuori orario con i colleghi, e poi con altre persone che fanno lo stesso lavoro ma in altre aziende, se ne sarà reso conto. Con i colleghi il contesto è del tutto comprensibile, chiaro e condiviso e discussioni su di esso possono portare a migliorarlo e chiarirlo ulteriormente. Gli altri al meglio sono interessati a specifici dettagli, procedure e know-how, per cercare di replicarle, se possibile, nella loro realtà. Di tutto il resto, che è ugualmente se non anche più importante, non capiscono nulla: è innestato saldamente, ma anche temporaneamente, in quella organizzazione. Quanto invece sia importante la dimensione temporale è esperienza di chi parla con un ex collega dopo aver lasciato quel lavoro da qualche tempo. Quel passato è solo uno sbiadito ricordo per l’ex collega che sta vivendo una rete di comunicazioni decisionali del tutto trasformata; quella esperienza passata è di nessun valore e utilizzo attuale perché dissolta, morta e sepolta, volata via come una bolla di sapone e sostituita da altre bolle.

Sarebbe dunque il caso di cambiare l’oggetto di interesse dalle Risorse Umane alle Risorse Sociali, uniche vere risorse nella disponibilità totale ed esclusiva dell’azienda, ma anche estremamente volatili e con la necessità di rinnovarsi di continuo.
Ma arrivati a questo punto sorge spontanea una domanda: cosa vuol dire concretamente occuparsi di queste relazioni, connessioni umane, oggi?

Il primo passo è trovare un modo di dar loro “corpo”, almeno metaforicamente, per rappresentarle e progettare su tali rappresentazioni delle attività concrete.
Ed è questo il primario obiettivo del prossimo seminario a Milano.

Luciano Martinoli
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