Le parti e le relazioni tra di loro: il caso organizzativo.

1 ottobre 2020

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Supponiamo di avere un contenitore con tutte le molecole che costituiscono un gatto.  Come fanno tutte queste molecole a produrre il meccanismo macroscopico dell’animale?

Ipotizziamo di poter dare una risposta a questa domanda conoscendo anche quali sono le dinamiche di questi componenti che danno luogo al gatto. Dunque un gatto sarà dato dalle sue molecole più il “modo” in cui queste interagiscono, le relazioni che stabiliscono. Torniamo al nostro contenitore molecolare e confrontiamone il contenuto con analoghi contenitori di molecole di altri esseri viventi: un cane, un pappagallo, un essere umano, un gabbiano. Scopriremo che una elevatissima percentuale delle molecole di un contenitore, se non tutte se scendiamo a livello di atomi che le compongono, è identica a quella degli altri. Dunque il gatto non è tale perché fatto di “pezzi” diversi da altri animali ma è il modo in cui stanno insieme che li differenzia. Il sistema “gatto” allora più che essere caratterizzato dalle sue componenti lo è dalle relazioni tra di esse. Stessi componenti danno luogo a sistemi diversi in virtù di come interagiscono.

Spostiamoci adesso nel campo dei sistemi sociali  e in particolare in quello delle organizzazioni. Consideriamo un ufficio vendite composte da cinque persone. Esse svolgono il loro lavoro avendo ognuno una mansione diversa che li porta ad interagire in uno specifico modo con gli altri e con l’esterno. C’è chi si occupa del marketing  per attirare l’attenzione di potenziali clienti, chi li chiama per organizzare gli appuntamenti, chi si reca presso di loro per imbastire la trattativa e così via. Terminato il lavoro i cinque si ritrovano spesso in un campetto per soddisfare la loro passione: giocare a basket. Gli stessi cinque sono allora anche una squadra di pallacanestro.

Quale è la differenza tra il team di vendita e quello di basket? Certo non possono essere gli elementi che costituiscono i due sistemi, essendo le persone le stesse. Sono le relazioni che tengono insieme i due sistemi che fanno la differenza, i modi e le attività che autonomamente cercano di realizzare che fanno di loro un’organizzazione di vendita o una squadra di pallacanestro.

 

“Stessi componenti danno luogo a sistemi diversi in virtù di come interagiscono.”

Possiamo allora dire che il sistema team di vendita è costituito dalle decisioni (ogni aspetto di un’organizzazione è prima deciso) prese  quotidianamente, all’interno di regole (anch’esse precedentemente decise), che consentono ad esso di continuare ad operare. Analogamente per il basket il sistema squadra è costituito dalle istantanee decisioni (passare la palla, tenere la palla, come fare a superare l’avversario, ecc.)  che determina i comportamenti , anche essi regolati (dopo essere stati decisi), che lo fanno andare avanti (continuare a giocare).

Le persone allora risultano degli agenti indispensabili per attuare le relazioni costituenti i sistemi organizzativi, ma è ciò che fanno che determina l’emergere di un sistema piuttosto che un altro.

Inoltre è da tener presente che mentre nel campo della chimica siamo in grado di far accadere alcune reazioni, e sempre meno ci riusciamo man mano che i componenti si aggregano in molecole sempre più complesse, nel caso degli elementi organizzativi, le persone, ciò non è possibile. Le persone infatti non sono manovrabili, motivabili o manipolabili perché autonome nell’evoluzione del loro sistema psichico. Il “motivo” è qualcosa che deve essere deciso dalla persona stessa. E’ segno di notevole distanza dalle realtà sociali e psicologiche quando i manager, o peggio ancora i consulenti,  intendono e dicono di voler motivare gli appartenenti all’organizzazione. Non si “motivano” individui così come non li si “mobilitano”, si offrono invece delle occasioni, delle possibilità di ‘mobilitarsi’ e si lascia che si ‘motivino’ da soli.

Offrire occasione di mobilitazione è area di intervento sull’organizzazione: è un’attività “sociale”. Volersi occupare delle persone e di quello che dovrebbero fare, è dominio della psicologia la quale, se piegata ai desideri di estremo controllo dell’approccio meccanicistico spesso adottato nella gestione organizzativa, potrebbe ispirare attività manipolatorie se non addirittura risultare violente.  

Se la distinzione tra il dominio sociale, relativo alle relazioni (comunicazioni) tra le persone, e quello psicologico, afferente ai processi interni e insondabili dei singoli individui, spero appaia ora evidente, purtroppo spesso i due piani vengono confusi. Inoltre laddove si perde di vista la dimensione prettamente organizzativa, si cerca di agire, in maniera più o meno esplicita, su quella psicologica delle persone.

A titolo di mero esempio di come il discorso pubblico confonda ancora questi due domini, che rimangono però intimamente legati da una relazione sistema-ambiente,  in un recente articolo di McKinsey “Il momento del CEO: leadership per una nuova era” ad un certo punto si dice:

“I Ceo stanno riconoscendo che le barriere al coraggio e la velocità riguardano meno i limiti tecnologici e molto di più l’orientamento mentale verso ciò che è possibile, cosa le persone sono disposte a fare, il grado in cui possono essere  messe alla prova  regole implicite o esplicite che rallentano le cose e le catene burocratiche di comando.”

Vengono dunque prima identificati due aspetti pertinenti alla sfera psichica delle persone (orientamento mentale e disponibilità delle persone), sulle quali non si può (e non si deve, pena l’invasione della sfera privata) fare nulla, e poi organizzativi (regole e catene di comando). E’ da evidenziare che il non poter (dover) fare nulla non significa che quella persona è inutilizzabile all’interno dell’organizzazione. Quante volte si scopre che un dipendente lento e annoiato poi si occupa, fuori dall’ambiente lavorativo, di volontariato ed è un abile e veloce giocatore di calcio? E’ compito dell’organizzazione offrire le occasione di “motivazione” adeguate. Nel prosieguo del testo si mischiano i due aspetti e laddove non si riesce a metter a fuoco la dimensione organizzativa, si ricade sulla necessità di ‘intervenire’ sulle persone.

Nell’articolo di Harvard Business Review “What Would It Take to Reskill Entire Industries?” , sul tema della riconversione di un intero sistema industriale, quando si esplicita cosa questo significhi davvero, si afferma:

“…la riqualificazione si riferisce non solo a capacità tecniche specifiche del lavoro ma anche all’acquisizione di competenze chiavi come adattabilità, comunicazione, collaborazione e creatività.”

Anche qui si fa riferimento implicitamente alle persone quando si parla di capacità tecniche specifiche del lavoro, che anche un singolo artigiano, che non costituisce e né fa parte di un organizzazione, potrebbe possedere. Poi si parla di adattabilità che è caratteristica importante di ogni organizzazione per la sua sopravvivenza nell’ambiente in cui opera. La comunicazione è l’attività costituente di ogni organizzazione, cento persone in un treno non sono organizzazione proprio perché non comunicano; farle diventare tale è un’attività organizzativa , offrendo strutture che ne diano occasione (canali comunicativi, motivi, ecc.). Analogo discorso per la  collaborazione, che deve essere facilitata e incentivata organizzativamente come occasione per i singoli di esercitarla, e la creatività che senza dubbio è caratteristica degli individui ma di cui l’organizzazione può trarne beneficio se si è data strutture per far emergere la specifica creatività che è in grado di utilizzare.

In conclusione il discorso pubblico, e l’attenzione che ne consegue, sembra essere ancora distante da questa divisione tra il dominio sociale e quello psichico. Il riconoscerne la diversità non porta ad una prevalenza dell’uno a scapito dell’altro ma, al contrario, al riconoscimento opportuno della rilevanza, a seconda delle circostanze, degli aspetti organizzativi rispetto a quelli personali. Di conseguenza gli eventuali interventi che si vorrebbe mettere in atto saranno più mirati e, di conseguenza, più efficaci.

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