di
Luciano Martinoli
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7 Ottobre 2019

Le organizzazioni sono tali se posseggono una struttura. Questa consiste di programmi, canali di comunicazioni, una gerarchia, fissa o variabile, insomma tutto ciò che aiuti a distinguerla dal contesto, a farla riconoscere come organizzazione e darle un qualsiasi ordine. Da qui discende un aspetto molto importante e sul quale ci si sofferma poco: la struttura organizzativa, o organizzazione formale, definisce i “criteri di appartenenza” all’organizzazione stessa. Un soldato deve obbedire agli ordini, se non lo fa non può essere considerato membro dell’esercito, un venditore deve vendere i prodotti dell’azienda di cui fa parte, se non lo fa non sarà più un componente di quella organizzazione (o verrà messo a fare un altro mestiere nel quale dovrà rispondere ad altri criteri di appartenenza).

L’organizzazione formale ha però un problema: essendo rigida per definizione, altrimenti non consentirebbe di adempiere alla sua funzione di strutturazione, non è in grado di adeguarsi ai continui cambiamenti , piccoli e grandi, dell’ambiente in cui l’organizzazione opera. In questo viene in aiuto la parte informale che possiamo definire molto semplicemente come tutto ciò che non è formale ovvero che non è descritto come criterio di appartenenza, e non per questo lo minaccia. Ad esempio nel calcio vi è la regola informale che se un calciatore della squadra avversaria si è fatto male, e l’arbitro non se ne è accorto, il calciatore che se ne accorge manda la palla fuori campo per interrompere il gioco e consentire l’assistenza all’infortunato. A incidente risolto il giocatore della squadra dell’infortunato rimanda la palla alla squadra che ha consentito il soccorso. Da un punto di vista sistemico è un comportamento informale, non è previsto da nessun regolamento e dunque nessun arbitro potrebbe imporlo. Inoltre nessuno dei due giocatori, il primo che ha interrotto il gioco e il secondo che ha restituito la palla all’avversario, può essere accusato di non appartenere alla propria squadra per quello che ha fatto: il loro comportamento informale consente al gioco di andare avanti soccorrendo un infortunato in un caso non previsto dal regolamento (l’arbitro non si è accorto dell’incidente). E’ facile immaginare casi analoghi in azienda: comportamenti non previsti formalmente che però consentono all’azienda di andare avanti.

Possiamo allora parlare di “utile illegalità” che controbilancia le rigidità della parte formale. Ovviamente le informalità, per quanto tollerate in virtù della flessibilità, ribaltano sulle parti organizzative che le esercitano “l’onere della prova” sull’utilità di quel comportamento deviante. Questo può far emergere la necessità di modificare la parte formale, dimostrando la preziosa utilità di quella informale (da questo punto di vista potremmo considerare quest’ultima i “sensi” della parte formale), oppure continuare a tollerarla perché la sua formalizzazione sarebbe impossibile o creerebbe maggiori problemi (come è ben noto, il modo migliore e più efficace per bloccare un’organizzazione è agire esclusivamente secondo i regolamenti).

E’ possibile formalizzare l’informalità? Vi è la possibilità di mettere qualsiasi comportamento e decisione “a norma”? Certamente, in un ambiente stabile e prevedibile e con la possibilità di specificare nel dettaglio e senza incertezze qualsiasi comportamento dei membri dell’organizzazione. E’ stato fatto, ad esempio, nelle catene di saldatura e verniciatura delle scocche automobilistiche dove, in virtù di questa formalizzazione estrema, sono… scomparsi gli operai e sono stati sostituiti con i robot (e anche lì la parte formale, che in quel caso si chiama software, periodicamente deve essere aggiornata per adeguarla al cambiamento dell’ambiente: nuove auto, nuove vernici, ecc.).


Se allora la parte formale e informale, nei contesti in cui non può essere formalizzato tutto, devono necessariamente convivere, quanto di informale può essere tollerato? E quanto di formale? Quale è il ruolo del manager nell’essere custode della formalità e promotore tollerante dell’informalità? Quanto la tolleranza dell’informalità può essere una minaccia per l’azienda o per i membri dell’organizzazione (esponendola ad esempio a sanzioni o mettendo a rischio la sicurezza dei lavoratori)?
Ne parleremo nel prossimo seminario a Milano

Luciano Martinoli
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