Tecnologie: strumenti di efficienza e di emersione delle ipocrisie. Il caso AI

5 giugno 2023

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Il dibattito sull’intelligenza artificiale si ampia e si approfondisce. Paure ed entusiasmi si affastellano in modo inestricabile e spesso incomprensibile. I tentativi di dipanare la matassa da parte degli esperti, o presunti tali, si concentrano sulle delucidazioni della tecnologia: come è fatta, cosa fa, cosa potrà fare. Ci si dimentica, come è già accaduto in passato, che siamo fortemente legati ai nostri pregiudizi, alle immagini del mondo che ci siamo formati anche grazie alle precedenti tecnologie.

Prendiamo ad esempio il caso del neologismo “cavallo di ferro”, inventato dai nativi del nord America e poi diffusosi sia in USA che nel Regno Unito, per indicare il treno a vapore. La tecnologia prevalente nel trasporto e il principale “motore” per muovere macchinari era il cavallo. Dunque per analogia una nuova macchina che faceva di più e meglio la stessa cosa doveva essere un “cavallo”, anche se di diversa natura. A dimostrazione di come tali immagini mentali siano persistenti, consideriamo quanto tempo abbiamo messo per sostituire, nemmeno del tutto, l’unità di potenza HP (Horse Power o CV Cavallo Vapore nella nostra lingua) con il più moderno Watt!

 

 

Assumiamo che dietro la comunicazione ci sia intelligenza così come all’apparire dei treni dentro ci fossero cavalli.

Seguendo la stessa modalità oggi parliamo di Intelligenza Artificiale laddove assistiamo a performance meramente comunicative, seppur spettacolari, assumendo che la comunicazione presupponga “intelligenza” allo stesso modo che il trasporto e lo spostamento di cose presupponesse l’uso dei muscoli di un animale (il cavallo). Ma la vera innovazione che ci ha mostrato la tecnologia AI sta proprio in questo: per comunicare efficacemente non è necessaria intelligenza.

Dentro gli algoritmi c’è sola l’intelligenza umanissima dei suoi ideatori e dentro i computer che li eseguono non c’è traccia di processi psichici allo stesso modo in cui dentro i motori non esistono metabolismi biologici.

Potenza ed efficacia delle tecnologie fanno anche emergere, proprio perché create da noi, le contraddizioni e le ipocrisie della nostra società. Emblematico a tal proposito i tentativi di regolamentare il settore riportati da un articolo de ilPost:

Le AI con un livello di rischio per le persone che viene definito «inaccettabile» saranno proibite e tra queste sono compresi i sistemi che classificano le persone in base ai loro comportamenti sociali, alle loro caratteristiche personali ed economiche.

Ma i sistemi che classificano le persone in base ai loro comportamenti sociali, alle loro caratteristiche personali ed economiche, esistono già e da tempo, compilate da intelligenze naturali coadiuvate da strumenti di stupidità artificiale (gli strumenti informatici classici). Queste classifiche sono tutte disciplinate da leggi che evitano discriminazioni «inaccettabili»?

Prendiamo ad esempio le classifiche dei comportamenti economici quali il registro dei Protestati e dei Fallimenti. Oppure le classifiche eterne che le assicurazioni auto affibbiano agli automobilisti in termini di classe di rischio. O anche la recente richiesta del diritto all’oblio dei malati di tumore completamente guariti che impedisce loro di essere valutati come “sani” dalle assicurazioni. Siamo pieni di classifiche dei comportamenti delle persone e, qualora il legislatore non lo sappia, i sistemi che vorrebbe disciplinare non le inventerebbero a caso o di sana pianta ma accederebbero a piene mani a quelle esistenti (poco disciplinate) fatte da noi esseri umani.
O l’intento del legislatore è quello di riservare quest’ambito alle intelligenze (così come alle stupidità) naturali pensando che siano in grado di fare meglio?

Un recente articolo apparso sul New Yorker (Non c’è alcuna Intelligenza Artficiale. Ci sono modi di controllare questa nuova tecnologia, ma prima dobbiamo smetterla di mitizzarla) ricorda che

“…per decidere come affrontare questa nuova sfida è importante ricordarsi che la tecnologia deriva dalla nostra capacità di sviluppare modi nuovi per risolvere problemi pratici. Le AI non fanno eccezione, non sono qualcosa di “altro” rispetto a noi, semmai sono e saranno il riflesso di ciò che siamo.”

Aggiungerei che più che modi nuovi per risolvere problemi pratici servono ancor prima modi nuovi di vedere il mondo. Non c’è bisogno di battere le ali come un uccello per volare, non c’è bisogno di muscoli e ossa come un cavallo per spostare cose, non c’è bisogno di intelligenza umana per comunicare in modo umano e così via. Da questi cambi di paradigma sono nate le innovazioni tecnologiche, non viceversa. Comprenderlo e accettarlo è il primo passo per la loro demitizzazione e la conseguente corretta disciplina di cui necessitano.

Ancora una volta dunque la tecnologia si mostra per quello che è: un manufatto della mente umana i cui utilizzi rispecchiano, e non creano, pregi e difetti della nostra natura.

Luciano Martinoli