Recruiting e IA: la lista dei bias è più lunga di 'gender e diversity'.

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23 settembre 2021

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Un articolo di oggi su ilsole24ore, affronta il tema del contributo che l’Intelligenza Artificiale può apportare al processo di selezione del personale e i rischi connessi alle  discriminazioni di genere e diversità che possono emergere.

Viene citato uno studio di Deloitte che riporta un’ampia convergenza e disponibilità delle aziende ad investire in questa direzione, i pericoli dei pregiudizi che tali tecnologie portano con loro, i rimedi per scongiurarli. Ma pur tenendo in debita considerazione le potenziali discriminazioni di genere, che rientrano nel dominio sociale e non certo tecnologico, l’utilizzo di IA espone l’azienda a rischi discriminatori ben più ampi e gravi di cui non sembra vi sia cognizione.

Negli Stati Uniti, che sono molto più avanti nell’adozione di tali strumenti, si sta assistendo ad una vasto fenomeno di abbandono del posto fisso, anche al livello dei knowledge worker. Data la sua vasta portata, ha preso il nome di “Great Resignation”. A dimostrazione della dimensione e importanza della cosa, basta mettere su un motore di ricerca queste due parole e salteranno fuori decine di articoli, in inglese, che lo descrivono. Non è compito di questo post commentare tale fenomeno, ma è utile vederne le conseguenze: milioni di nuovi posti di lavoro disponibili. Peccato che allo stesso tempo vi siano altrettante persone che pur cercando lavoro non riescono a trovarlo!

Il Wall Street Journal indica proprio negli strumenti di IA di recruiting la causa di questo disastro. Secondo uno studio dell’Harvard Business School, vengono esclusi più di 10 milioni di curriculum dai processi di selezione delle aziende. Le cause sono da attribuire a profili di posizioni vacanti poco chiari e curriculum con mancanze o scarso focus. Questi software funzionano in base a criteri positivi, come avere un titolo di studio, o negativi, ad esempio fedina penale sporca. Più è lunga la lista di entrambi i criteri, più curriculum verranno scartati.

Ad esempio, è stato difficile trovare una persona in un ospedale perché si richiedeva, tra le infermiere, una competenza di “programmazione” quando il compito principale da svolgere era inserire dati clinici dei pazienti nel sistema informatico. Oppure trovare operai che riparano linee elettriche perché non in possesso di specifiche esperienze di “customer-service”.

Un altro ostacolo è il “buco” lavorativo tra un impiego e un altro. Molte aziende ritengono infatti che una continuità di lavoro sia garanzia di migliore “impiegabilità” del candidato per la posizione. Tale bias (eh sì, è un pregiudizio anche questo! Perché non se ne parla mai?) colpisce chi, donne e uomini, rientrano da un periodo più lungo di maternità o assistenza a familiari gravemente ammalati, coniugi di militari, di entrambi i sessi, che rientrano in USA dopo un periodo all’estero o chiunque abbia avuto un’interruzione volontaria o forzata dell’attività lavorativa.

Come si vede qui la tecnologia non centra nulla. Secondo il vecchio adagio informatico “garbage-in, garbage-out”, se butto dentro un sistema informatico (e quelli presunti “intelligenti” non differiscono dagli equivalenti “stupidi”) dell’immondizia, ciò che ne uscirà non sarà meglio di ciò che è entrato.

Il punto allora è quello di pensare a nuovi sistemi di reclutamento, come riporta l’articolo su alcuni casi USA: assumere manager che si occupino dei curriculum, intessere relazioni con contesti che possono fare da serbatoio continuo di candidati, lanciare campagne di reclutamento verso specifiche categorie di soggetti, e tanto altro ancora.

Ma forse, prima di tutto, le aziende dovrebbero ragionare e prendere coscienza della propria lista di “pregiudizi” che va ben oltre, ed è ben più lunga, di quella relativa al genere e alla diversità perchè spesso si nasconde dietro le “caratteristiche”, implicite o meno, del candidato ideale. Se ci limitiamo al problema del gender e diversity scopriremo che, una volta risolti, siamo ancora davanti al problema di come assumere le persone giuste di sesso femminile, gay, nere, eccetera. E cercheremo ingenuamente, seguendo i consigli dei soloni della consulenza e dell’informatica, di risolverlo con l’ultimo gadget tecnologico. Questo però non farà altro che ributtarci in faccia i bias, amplificati e con le loro conseguenze, che gli abbiamo messo dentro.

Luciano Martinoli