Il Riflesso di Semmelweis

11 novembre 2021

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Ignác Fülöp Semmelweis (Buda, 1818 –  Döbling, 1865) è stato un medico ungherese. Dopo essersi laureato, nel 1846 ottenne l’incarico per due anni di assistente del dottor Johann Klein, che dirigeva la clinica ostetrica all’Ospedale generale di Vienna .Sotto la direzione di  Klein gli assistenti avevano l’obbligo di eseguire fino a 15-16 autopsie al giorno per poi direttamente procedere alle visite interne delle partorienti. Klein nel 1834 aveva fondato una seconda divisione di maternità usata solamente per il tirocinio delle ostetriche. Fin dall’inizio, il giovane Semmelweis era ossessionato dall’elevato numero di decessi delle partorienti per febbre puerperale e soprattutto assillato dalla rilevazione che il numero delle morti era di molto superiore nella clinica di Klein che non nella seconda divisione dove a far partorire le donne erano solo le ostetriche.

A seguito di una breve malattia, un caro amico di Semmelweis morì. Studiando la sua cartella clinica fu colpito da due elementi che mise in correlazione. Il primo che il cadavere dell’amico evidenziava lesioni simili a quelle che si riscontravano sulle donne morte per febbre puerperale. Il secondo, che l’amico si era ferito qualche giorno prima nel corso di un’autopsia praticata su una di queste mamme. Gli apparve chiara un’ipotesi sconvolgente per l’epoca: la febbre puerperale era una malattia che viene trasferita da un corpo all’altro a seguito del contatto che i medici e gli studenti presenti in reparto hanno prima con le donne decedute (su cui praticano autopsia) ed immediatamente dopo con le partorienti che vanno a visitare in corsia.

Per dimostrarla il giovane dottor Semmelweis diede delle semplici disposizioni: tutti i medici che entravano nel primo padiglione avrebbero dovuto lavarsi le mani con una soluzione di ipoclorito di calcio. Inoltre a tutte le partorienti si dovevano cambiare le lenzuola sporche con altre pulite. I fatti gli diedero subito ragione; era il maggio del 1847.

Dalla pagina di Wikipedia sul Dottor Semmelweis:

Nel 1846, su 4010 puerpere ricoverate presso il primo padiglione, ne erano morte 459 (l’11,4%) per febbre puerperale. Nel 1847, dopo l’adozione del lavaggio delle mani, su 3490 pazienti ne morirono 176 (il 5%) e l’anno successivo la percentuale si attesterà tra l’1 e il 2%, all’incirca la stessa da sempre del secondo padiglione.
Questi dati avrebbero potuto suscitare se non entusiasmo almeno interesse o curiosità, invece gli attirarono gelosia, invidia e risentimenti vari. Il suo direttore, Johann Klein, che sosteneva con forza la necessità per gli studenti di praticare molte autopsie, trovava irritanti le iniziative di questo straniero ungherese, per giunta nazionalista (partecipò con entusiasmo ai moti del 1848) e che si arrogava il diritto di emanare disposizioni che non gli competevano, offensive per il personale (l’obbligo di lavarsi le mani) ed onerose per l’ospedale (cambio frequente delle lenzuola) e non gli fece rinnovare il contratto…

Le nuove teorie furono osteggiate dal mondo medico che per principio rifiutava di ammettere che i medici stessi potessero essere degli “untori“. Uno dei suoi più accaniti oppositori fu Rudolf Virchow, considerato il padre della patologia cellulare.”

A causa dell’ostilità mostrata dai medici della “Scuola viennese” nei confronti della sua teoria, Semmelweis si lasciò opprimere sempre di più da complessi d’inferiorità e cadde in depressione. Ci vollero molti anni prima che la scoperta di Semmelweis venisse accettata e applicata in modo generalizzato: la dimostrazione della contaminazione batterica fu data da Pasteur solo nel 1864. Prima di allora le scoperte di Semmelweis vennero screditate e, nonostante i risultati positivi, fu licenziato dall’ospedale di Vienna per aver dato disposizioni senza esserne autorizzato e di conseguenza le morti per infezione aumentarono nuovamente.”

Veniamo ai giorni nostri.
È noto ormai a tutti il fenomeno dei “No-vax”, quel movimento contrario alle vaccinazioni (che nasce di fatto insieme ai vaccini stessi) che ha preso nuova forza con la pandemia da Covid-19 e assunto nuove forme dopo l’imposizione del Green-pass. Basta navigare su Internet, accendere la TV o leggere un qualsiasi giornale per venire a conoscenza delle motivazioni di questi movimenti:

“Il Green-pass viola la liberta di scelta personale”;
“Il Green-pass è discriminatorio”;
“La vaccinazione è solo un business per le grandi farmaceutiche”;
“Decidere come occuparsi o curare il proprio corpo è un diritto da difendere”;
“No all’obbligo vaccinale”;
“Libertà di scelta”;

giusto per citarne alcune.

Confrontando le vicende del povero Semmelweis e i fatti dei giorni nostri, possono essere evidenziate alcune correlazioni. La contrarietà dei medici dell’epoca sulla profilassi antisepsi e quella dei movimenti attuali alle disposizioni di contrasto alla pandemia, non hanno nessuna o poca motivazione razionale legata al fenomeno in sé ma quasi esclusivamente alle circostanze accessorie (gli oneri delle disposizioni, i benefici che altri ne ottengono, eccetera) o alla prevalenza di alcuni diritti (la libertà di scelta) in contrasto o negandone altri propri e degli altri (la salute). Le disposizioni ritenute offensive dei medici viennesi, ricordano lo stesso sentimento di alcune motivazioni dei movimenti attuali. Ed è anche da rilevare che all’interno di questi movimenti “contro” vi sono, e vi erano nell’800, personaggi illustri e illuminati.
Quale è allora la possibile spiegazione di questi due fenomeni in cui alcune comunità negano delle evidenze che invece sono tali, o risulteranno tali, per altre (così come accade anche per i negazionisti dello sterminio nazista, i “Terrapiattisti”, i “Complottisti” e tanti altri)?  

Una possibile spiegazione viene proprio dalla vicenda medica, che ormai è storia della medicina. Vent’anni dopo le tristi vicende di Semmelweis , il chirurgo scozzese Joseph Lister venne a conoscenza del lavoro in cui Louis Pasteur dimostrava che i processi di decomposizione e di fermentazione erano causati da microrganismi che potevano essere eliminati esponendoli a certe sostanze chimiche. Lister capì che lo stesso processo si verificava nelle ferite infette. Si sarebbe potuto pensare che, dopo la pubblicazione delle sue osservazioni, il metodo antisettico si sarebbe diffuso, ma le cose non andarono affatto così. Vent’anni dopo la pubblicazione di quel lavoro (quindi quaranta dopo le prime scoperte di Semmelweis, siamo ormai alla fine dell’800 inizio ‘900), l’obbligo di lavarsi le mani era ancora solo formale. I chirurghi immergevano i ferri nell’acido fenico ma continuavano a operare con le loro redingote nere incrostate di sangue e viscere delle operazioni precedenti, per dimostrare che erano molto impegnati. Invece di usare garze pulite, riutilizzavano le stesse spugne marine senza sterilizzarle. Con le loro palandrane nere macchiate di sangue, i chirurghi si sentivano guerrieri che combattevano contro la morte a mani nude. Ignoravano volontariamente le nuove scoperte scientifiche, ampiamente disponibili, e rimanevano attaccati alle loro convinzioni.

Alcuni pionieri tedeschi, tuttavia, cominciarono a pensare a se stessi come scienziati più che combattenti. Sostituirono le redingote nere con impeccabili camici bianchi da laboratorio, riorganizzarono le sale operatorie in modo da farle diventare sterili. Scoprirono che la cosa principale da insegnare ai chirurghi, non era tanto eliminare i germi quanto ragionare come scienziati da laboratorio.

I giovani dottori di altri paesi che andavano a studiare con i grandi luminari della chirurgia tedesca si convertivano con entusiasmo al loro modo di pensare e ai loro metodi. Quando tornavano a casa, erano diventati apostoli non solo delle pratiche antisettiche (per uccidere i germi) ma anche delle più impegnative pratiche asettiche (per prevenire i germi), che prevedevano l’uso di guanti, camici, cuffie e mascherine sterili. Facendo proseliti tra i loro colleghi e studenti, alla fine diffusero quelle idee in tutto il mondo.

Dunque ci ha salvati dalle infezioni non un’evidenza scientifica razionale, e per questo subito accolta e condivisa, ma una nuova identità accettata e praticata da medici e chirurghi. L’identità è una potentissima forza che muove gli esseri umani. Nessuno può farne a meno e ogni occasione è buona per costruirsene una. Una volta costituita, purtroppo, è difficile da scardinare, a meno che non venga data l’opportunità di ottenerne una migliore.

Questa dimensione prettamente sociologica è quasi sempre ignorata da chi è chiamato, in qualsiasi ambito, a proporre disposizioni che cambiano usi e modalità di agire le quali necessariamente toccano i modi con cui si esprime l’identità. Semmelweis e Lister non ci avevano pensato, e forse non sarebbero stato in grado di pensarci, ma non ci sono arrivati neppure i politici di tutto il mondo che si sono circondati di virologi, medici ed economisti ma non di sociologi. Questi infatti avrebbero potuto facilmente metterli in guardia sulla possibilità che disposizioni restrittive o coercitive avrebbero fatto emergere tali movimenti come occasioni o minacce di identità, e avrebbero sollevato il problema di come emanare tali disposizioni per presentarle in  modo da scongiurare il pericolo. Ironia della sorte poi ha voluto che i media e le persone rivolgessero la loro attenzione principalmente alla dimensione sociale rivolgendo domande a chi non ne aveva competenza specifica e neppure una vaga idea: politici, virologi, economisti.

Su scala ridotta situazioni analoghe accadono anche negli ambiti aziendali quando si vogliono proporre cambiamenti ed emergono le famose “resistenze”. La razionalità e l’urgenza di tali cambiamenti prende il sopravvento sull’analisi di cosa questi potrebbero significare per l’identità delle persone che sono chiamate ad adottarle; aspetto che è il vero fattore critico per il loro successo. Nessun piano di cambiamento o pratica di “Change Management” si preoccupa di questo aspetto. Tutto lo sforzo è concentrato sulle operazioni che dovranno essere effettuate, anzi nel caso delle persone il tema dell’identità e la sua minaccia è più o meno ufficialmente indirizzato con pratiche discriminatorie (reclutane pochi, gli altri seguiranno) o vessatorie (bastone e carota).  Non c’è dunque da meravigliarsi se compaiono, su piccola scala, gli ostracismi come nel caso dei medici dell’800 o dei movimenti di protesta tipo No-vax.

Un piano di cambiamento  che voglia avere successo dovrebbe avere anche una conoscenza delle identità coinvolte e un piano di proposta di nuove identità (o modifica positiva delle esistenti) e non essere concentrato esclusivamente sulle attività da eseguirle per realizzarlo. L’organizzazione aziendale è un sistema sociale, né più né meno come la comunità dei medici e quella che compone i movimenti di protesta. Come questi segue le stesse logiche e si comporta secondo le medesime dinamiche. Le “resistenze” allora non sono al “cambiamento” ma contro le “minacce all’identità” di fronte all’assenza di proposte alternative all’identità stessa, non al cambiamento operativo.

Ma come proseguì la vicenda del nostro Semmelweis ? Sempre da Wikipedia:
“Tornato in Ungheria applicò lo stesso metodo all’ospedale di San Rocco a Pest, ottenendo anche qui un abbassamento significativo dei nuovi casi di febbre puerperale. Fu proprio in Ungheria che nel 1861 scrisse il libro ‘Eziologia, concetto e profilassi della febbre puerperale’. Purtroppo la comunità scientifica dell’epoca gli si scagliò contro e Semmelweis finì per essere ricoverato in manicomio. Morì per setticemia, sviluppatasi a causa delle ferite inferte dalle guardie del manicomio e delle cure non adeguatamente sottoposte a profilassi, proprio ciò che la sua scoperta avrebbe voluto evitare…
Attualmente, è chiamato “Riflesso di Semmelweis” il modo di riluttanza e resistenza ad accettare una scoperta in campo scientifico e medico.”

Luciano Martinoli