Tutto è relazione: cosa ci suggerisce la “teoria dei quanti” sull’organizzazione.

19 maggio 2021

[email protected]

Il professor Carlo Rovelli, fisico teorico, saggista e attualmente docente all’Università di Aix-Marseille in Francia, ha pubblicato sulla teoria dei quanti diversi libri e svariati articoli divulgativi. Ultimamente è apparso sulla rivista NewScientist Quantum weirdness isn’t weird – if we accept objects don’t exist, pubblicato in italiano sul numero 1407 del nostro Internazionale col titolo “Tutto è relazione” (chi ne volesse una copia può richiedermela). In esso viene ribadita e illustrata la tesi di fondo della teoria, ovvero che

Le cose non hanno proprietà di per se stesse: le loro proprietà esistono in virtù della loro relazione con le altre cose”.

Un colpo duro alla nostra esperienza quotidiana costantemente a caccia di conferme ontologiche di qualsiasi cosa o situazione di cui facciamo esperienza. Ma è un colpo necessario se vogliamo davvero comprendere il significato (non tanto) filosofico della misteriosa teoria dei quanti… e non solo. Accettando questo principio, ne discende che

La descrizione di un sistema fisico non può essere separata dagli altri sistemi fisici che interagiscono con esso”.

Dunque non esistono nemmeno rappresentazioni oggettive di un sistema perché ognuna di queste è sempre condizionata dall’interazione con altri sistemi, certamente anche quelli che li “osservano” o li “misurano”. Detto in altri termini allora

Le proprietà di un sistema descrivono solo il modo in cui un sistema interagisce con qualcos’altro, si riferiscono solo alle interazioni”.

Per cui quando parliamo di “proprietà” parliamo esclusivamente di relazioni. Il “cosa è?”, interrogativo finora alla base del nostro metodo di conoscenza del mondo, lascia il posto a “come agisce? Come fa ad essere così?”. Rovelli chiude il suo articolo, ricco di ulteriori spunti, con la seguente considerazione

Il nostro naturale pregiudizio metafisico era che la realtà fisica è costituita da una sostanza fondamentale con proprietà assolute. La teoria quantistica mette in dubbio questo pregiudizio. Bene: i nostri pregiudizi metafisici si sono formati ed evoluti all’interno del dominio ristretto della nostra esperienza quotidiana. Siamo abituati a pensare il mondo in termini di cose con proprietà assolute perché questo è quello che sperimentiamo…
Ma non dobbiamo costringere ciò che abbiamo scoperto sulla natura ad allinearsi ai nostri pregiudizi: piuttosto, dobbiamo lasciare che i nostri pregiudizi siano modificati dalle scoperte sulla natura. La teoria quantistica ha alterato la nostra comprensione della realtà fisica in modi ancora più profondi della rivoluzione copernicana, quando abbiamo appreso che viviamo su una roccia che gira in modo folle. Per digerire tutte le implicazioni del lavoro di Copernico ci sono voluti secoli. Stiamo solo cominciando a digerire tutte le implicazioni della rivoluzione quantistica.”

 

 

 

Le cose non hanno proprietà di per se stesse: le loro proprietà esistono in virtù della loro relazione con le altre cose”.

I principi della teoria quantistica non sono rimasti intrappolati nella fisica ma stanno lentamente, ma inesorabilmente, invadendo anche altri campi del sapere umano. Tra questi ci sono certamente le discipline umanistiche e, in particolare, quelle organizzative.

Quale teoria organizzativa basata sulla ricerca di una sostanza fondamentale con proprietà assolute è in grado di dar conto di tutti i comportamenti di una “sistema” organizzativo, senza entrare in contraddizione? Non è allora il caso passare a fare altre domande, cioè non “cosa è” un’organizzazione ma “come fa ad essere così”?

Accogliere questa prospettiva “quantistica” dell’organizzazione, sui cui principi vari pensatori hanno già avanzato da tempo delle proposte, consente di dar conto di fenomeni quali leadership, cambiamento (e sue resistenze!), resilienza (o meno), talenti e tante altre, non come caratteristiche oggettive dell’organizzazione ma relazioni emergenti da interazioni con altri sistemi (il management, il contesto esterno, i processi codificati, e altro). Un modo non di spiegare in modo definitivo ma di dar meglio conto della realtà, così come la teoria dei quanti ha permesso alla fisica di comprendere alcuni fenomeni con benefici tangibili visibili nelle numerose applicazioni pratiche in tanti settori della tecnologia.

E’ possibile fare lo stesso nell’ambito organizzativo? Certamente, partendo però da un cambio di attitudine e non dalla ricerca di soluzioni (che in accordo alla teoria quantistica non esistono di per sé ma sono frutto di interazioni di un certo tipo). Sarebbe dunque l’ora di rifondare le basi sulle quali poggia la nostra teoria, da cui discende l’attuale pratica, di condotta nelle organizzazioni. Per farlo però vi è la necessità di ritagliare dei momenti di “pensiero” diversi da quelli della “pratica”, nella quale siamo tutti quotidianamente affogati, affinché questi nuovi principi ispirino pratiche più efficaci ed adeguate. E soprattutto, come ci ricorda il professor Rovelli

“…dobbiamo lasciare che i nostri pregiudizi siano modificati dalle scoperte sulla natura”.

Chi è davvero interessato ad abbandonare i propri pregiudizi?

Luciano Martinoli