Lontano dagli occhi...

25 novembre 2020

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Quando le chiusure forzate causate dalla pandemia hanno costretto migliaia di lavoratori a stare a casa, i colossi dell’high-tec avevano già tutta l’organizzazione, e ovviamente la tecnologia, per sostenere questa transizione.

Quando poi si è capito che il fenomeno sarebbe stato più lungo di quanto ci si aspettava, molte aziende hanno deciso di istituzionalizzarlo, concedendo la libertà ai dipendenti di lavorare quando vogliono da casa o, addirittura, obbligandoli a farlo. Si è visto subito che le conseguenze avrebbero portato grandi cambiamenti. Lato azienda, la minore necessità di spazi per gli uffici, con un grave impatto sull’indotto (ristoranti in zona, rifornimento mense e bar, mercato immobiliare, trasporti, ecc.), ma anche una necessaria riflessione sulle modalità di lavoro e anche sulla retribuzione dei dipendenti. Se infatti il loro salario era particolarmente alto per far fronte anche agli elevati costi della vita nella Silicon Valley (o nell’aera di New York), forse aveva senso rivedere anche i livelli retributivi per i dipendenti che avessero scelto di rilocarsi in zone meno care.

Lato dipendenti si è scoperto la necessità di riorganizzare gli spazi e i tempi del quotidiano, la relazione con i propri cari (figli, coniugi, eccetera), la possibilità di rilocarsi in aree più gradevoli e meno costose. Chi ha fatto quest’ultima scelta si è ritrovato in un percorso che l’ha portato a estreme conseguenze: licenziarsi e trovare lavoro in loco, come ci relazione il Wall Street Journal in un suo articolo.

Le motivazioni sono diverse ma tutte legate alla scoperta di una qualità della vita migliore. Rinunciare ai principeschi stipendi non sembra essere un problema se la vita nella nuova zona di residenza costa molto meno. Si apprezzano tempi e ritmi rallentati, maggiori opportunità di apportare valore alla nuova impresa locale, la quale non si è mai potuta permettere le esperienze dei super-tecnici e super-manager californiani o newyorchesi. C’è anche chi rifugge da una cultura della “scarsità” della Silicon Valley in quanto pur essendo uno dei posti più ricchi del mondo non c’è “mai abbastanza tempo, mai abbastanza capitale proprio, mai abbastanza”. (Ho sensazione che ci siano luoghi così anche in Italia…)

L’aspetto interessante di questa vicenda, dal punto di vista organizzativo, è che viene evidenziato il significato di uno dei legami di un individuo con l’organizzazione: la presenza fisica. La remotizzazione di massa ha evidenziato la possibilità di effettuare non in presenza l’aspetto mansionatorio del  lavoro, la lista dei compiti da effettuare quotidianamente. Se tale aspetto è prevalente, o addirittura unico, l’azienda potrebbe anche considerare quel dipendente non parte dell’organizzazione ma semplice fornitore esterno di prestazioni.

Laddove invece vi è anche un’importante componente del lavoro alla partecipazione del processo decisionale, gli strumenti tecnologici di virtual meeting riescono a sopperire alla mancanza di presenza. Purtroppo, come si è visto, si tratta di una relazione a “banda stretta” che non stimola appieno la partecipazione se non per il minimo necessario definito dallo scopo dell’incontro. Il motivo è che manca una importante parte squisitamente sensoriale che impedisce di cogliere nel suo complesso il comportamento degli altri come comunicazione. Ne soffrono la spontaneità, l’empatia, la novità, in ultima analisi: l’innovazione.

Se poi a questo aggiungiamo anche l’impossibilità di condividere e partecipare a creare la cultura aziendale  intesa come norme e regole non ufficiali ma che disciplinano la vita dell’organizzazione, attività impossibile se non in frequente presenza, ecco che viene a mancare il pilastro principale del criterio di appartenenza. Essendo per molti il lavoro un’attività sociale, dunque non da artigiano (idraulico, falegname, pittore, eccetera) o da professionista (avvocato, commercialista, e altro), si sente la necessità di entrare in un altro contesto sociale, un’altra azienda, e così completare il quadro a tutto tondo dei vantaggi dell’essersi spostati in una zona periferica del paese.

Le aziende allora dovrebbero valutare le modalità di lavoro in presenza o meno tenendo presente anche, direi soprattutto, questi importantissimi aspetti organizzativi. Essi prescindono dalle valutazioni economiche, tecniche o di opportunità ma se sottovalutate possono minare al cuore la struttura di un’organizzazione. Forse per la prima volta, grazie a questo stato di isolamento forzato, ci stiamo rendendo conto di cosa sia veramente l’appartenenza organizzativa e, di conseguenza, la natura stessa dell’organizzazione.