La resistenza al cambiamento come deficit di “risonanza” organizzativa

di

Luciano Martinoli
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9 dicembre 2019

L’organizzazione è un sistema le cui operazioni, la rete di decisioni che ne costituiscono l’identità, sono definite al proprio interno. Vi sono certamente le procedure e i regolamenti formali, ma di fianco ad esse sorgono spontanee pratiche e modi di fare non scritti che consentono di aggiungere alle prime quelle flessibilità necessarie per far funzionare il sistema, per mandare avanti il lavoro organizzativo. La rete di processi decisionali (autopoiesi dell’organizzazione) è dunque una miscuglio inestricabile e altamente specifico di entrambi. Se ne può rendere conto chiunque passi a lavorare nella stessa organizzazione, dunque con le stesse procedure, da un reparto ad un altro (per non parlare del passaggio con la stessa mansione da un’organizzazione ad un’altra).

Le condizioni ambientali in cui opera il sistema organizzativo evolvono di continuo e alle organizzazioni è richiesto un continuo adattamento ad esse. I sistemi autopoietici, quali sono le organizzazioni, non hanno la possibilità di “vedere” l’ambiente ma solo di subirne i condizionamenti che però saranno in ogni caso interpretati secondo la loro struttura. Questa però potrebbe non essere sufficientemente adeguata a capirne la portata in termini di sopravvivenza e sviluppo dell’organizzazione stessa. Il ruolo del manager allora dovrebbe essere quello di osservare tali differenze tra sistema e ambiente e consentire una riduzione di queste laddove possano essere letali per l’organizzazione (o semplicemente impedirne lo sviluppo). Il tipico esempio è, nel caso delle aziende, il cambio del gradimento di un prodotto rispetto ad un altro, oppure la scarsità di un ingrediente o componente del prodotto che necessità di un sostituto, con tutto quello che comporta, per rimanere all’interno di una fascia di prezzo, eccetera.

L’organizzazione in genere è capace in autonomia di accorgersi di piccole differenze e adeguarsi ad esse. In altri casi questo non accade con grave rischio per l’organizzazione stessa (l’esperimento della rana bollita è esplicativo di questo fenomeno sistemico). Uno dei compiti del manager, inteso come osservatore esterno all’organizzazione in quanto non condivide le operazioni del sistema, dovrebbe essere quello di intervenire in questi casi, ma… come fare se:

  1.  l’organizzazione si fa da sola le sue operazioni,
  2. queste cambiano di continuo e non è detto che in un preciso istante l’osservatore (il manager) ne sia a conoscenza,
  3. qualsiasi intervento del manager verrà interpretato come una “perturbazione” ambientale e il sistema reagirà secondo la propria struttura,
  4. interventi di forza possono correre il rischio di essere percepiti come minacce dirette alla sopravvivenza dell’organizzazione, maggiori di quelle ambientali alle quali gli interventi volevano porre rimedio.

Da qui, se si accetta questa prospettiva sistemica, ne discende che la famosa resistenza al cambiamento altro non è che la misura della distanza tra la conoscenza delle operazioni del sistema e la vera realtà delle stesse. Inoltre tale resistenza è una dimostrazione dell’ignoranza dell’autonomia operativa dell’organizzazione con la conseguente contraddizione della richiesta di iniziativa e capacità di erogare valore di un’organizzazione.
Che fare allora?

Più che di cambiamento sarebbe il caso considerare continui processi di abilitazione di risonanza dove per risonanza si intende il fenomeno per il quale un sistema se sottoposto a sollecitazioni dello stesso tipo di quelle interne (in fisica vibrazioni, frequenze) le amplifica.
Un buon esempio di cosa sia la risonanza, e le implicazioni per il nostro discorso, è illustrato in questo breve video. Ad ogni frequenza di oscillazione della piattaforma corrisponde l’oscillazione di una costruzione e non di un’altra, dunque non tutte le vibrazioni muovono tutti i sistemi ma ognuno reagisce a quelle corrispondente alla propria. Inoltre per farle oscillare non è stata fatta nessuna modifica diretta alla loro struttura, le costruzioni si sono mosse autonomamente grazie alla opportuna frequenza di vibrazione. Ovviamente per evidenziare l’effetto di risonanza è indispensabile conoscere da prima la frequenza giusta per poterla applicare.

Nel caso organizzativo tali vibrazioni, come abbiamo detto, sono tutte interne, continuamente cangianti e quasi mai perfettamente conoscibili. Di conseguenza l’indispensabile, e forse unica, azione del manager dovrebbe essere quella di disporre di metodi e strumenti per creare una corrispondenza di frequenze (accoppiamento strutturale) tra sistema (organizzativo) e ambiente (manager, clienti, fornitori, eccetera) tale per cui ad ogni sollecitazione manageriale, in questo modo sempre più vicina alla frequenza organizzativa, vi sia una adeguata risposta di movimento corrispondente. Laddove si evidenzi la necessità di programmi di cambiamento importanti, ci si troverebbe davanti ad una palese prova di incapacità del management nell’aver trascurato questo necessario continuo allineamento, quindi un “deficit di risonanza”.

Dunque siamo di fronte ad un’attività ben diversa dagli sporadici e traumatici programmi di change management. Vi è allora bisogno di operazioni più diffuse e continue che necessitano di un quadro di riferimento e strumentazione adeguata, come illustreremo nel prossimo seminario a Milano.

Luciano Martinoli

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