La fine degli “stagisti”?

23 maggio 2020

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Facebook ha ufficialmente dichiarato di considerare il lavoro remoto un aspetto strutturale della sua organizzazione e non più occasionale, come costretta fino ad ora dalle misure anti contagio. Probabilmente altre grandi aziende seguiranno questa strada. L’ipotesi di un paradigm shift organizzativo si sta facendo concreta  e allora ritengo opportuna una considerazione puntuale, dopo quella generale fatta in un precedente post, su uno specifico tema organizzativo: la figura degli stagisti (interns per il mondo anglosassone).

Con questo termine includo, per lo scopo di questo post che è quello di analizzare esclusivamente le problematiche organizzative, sia l’attività regolamentata in Italia come stage che quella del tirocinio così da poterla equiparare all’ internship anglosassone. Si tratta dunque di un periodo nel quale una o un giovane accede per la prima volta al mondo del lavoro e il suo scopo è quello di effettuare delle esperienze concrete della realtà lavorativa che gli consentano di capire come le sue conoscenze specifiche possano integrarsi all’interno del ciclo di attività di un’organizzazione. Allo stesso tempo l’organizzazione è interessata ad accogliere un nuovo elemento organizzativo senza includerlo subito nel ciclo delle attività produttive, qualsiasi cosa si intenda con questo termine, ma consentendogli un periodo di tempo per un reciproco adattamento (da un punto di vista sistemico: un accoppiamento strutturale con conseguente modifica di operazioni interne sia del soggetto (sistema) che dell’organizzazione (ambiente)).
Per raggiungere tale scopo l’organizzazione assegna allo stagista (o tirocinante) un tutor ovvero un membro effettivo dell’organizzazione che ha il compito di aiutarlo in questo progressivo processo di adattamento.

Far parte di un’organizzazione significa contribuire al continuo processo di  assorbimento dell’incertezza costantemente generata dall’ambiente in cui opera. Tale operazione è costantemente effettuata da un processo comunicativo diffuso ad ogni livello dell’organizzazione: la rete di “decisioni”, che poi è il suo tratto costitutivo. Le decisioni sono un continuum e hanno necessità di costante specificazione: ad ogni decisione ne segue un’altra che la chiarisce e un’altra ancora che fa lo stesso con quella precedente perché nel frattempo l’ambiente ha proposto nuova incertezza che rende ambigua o inefficace la decisione di prima, e così via.

In questo processo giocano un ruolo importante anche i comportamenti fisici dei singoli i quali, se si accorgono di essere percepiti, tendono a modificarli in quanto ritenuti “comunicazione”.  Tale comunicazione è importante come quella con altri media (scrittura, video, audio, eccetera) anzi è molto più ricca nella componente modalità di trasmissione in quanto un gesto, una intonazione di voce, un odore, un colore di un abito e tanto ancora possono aggiungere dettagli essenziali alla comprensione di ciò che si vuol far capire. 

 

“Come si fa a comprendere le capacità di una o un giovane se non lo si può osservare nel modo in cui assolve un compito e non solo valutando il risultato?”

 

E’ evidente allora quanto questo contatto fisico e quotidiano sia fondamentale per il reciproco adattamento che è lo scopo dello stage (e dunque dello stagista e dell’organizzazione). Come si fa a comprendere le capacità di una o un giovane se non lo si può osservare nel modo in cui assolve un compito e non solo valutando il risultato? Come fa lo stagista a comprendere le regole informali di una organizzazione (che poi altro non sono che il modo di realizzare quelle formali) se non può osservare dal vivo, con tutti e cinque i sensi, i comportamenti reali e concreti dell’organizzazione e dei suoi elementi? E inoltre: se già oggi a stagisti e tirocinanti vengono assegnati compiti banali e poco attinenti alla loro formazione, non c’è il rischio di peggiorare la situazione in assenza di contesti fisici reali dove cimentarsi con i processi produttivi?

Ci troviamo di fronte alla possibile estinzione degli stage e dei tirocini per come li conosciamo oggi? E cosa prenderà il loro posto?
Mi sembra un tema di rilevanza organizzativa che al momento non viene affrontato in quanto si privilegia il mero aspetto logistico prescindendone dal suo profondo significato organizzativo. Detto in altri termini, ogni aspetto logistico ha influenza sul processo comunicativo e di conseguenza il metabolismo dell’organizzazione: le valutazioni vanno fatte tenendo presente le conseguenze di entrambi gli aspetti. Non so quanta valutazione di questi aspetti ci sia dietro le decisioni del più-remoto/meno-ufficio e, preciso, non sono a priori favorevole all’una o l’altra tendenza. Di certo una scelta sul più-remoto influenzerà pesantemente l’assetto dell’organizzazione. Lo si è previsto? Come? E in che modo nell’ambito degli stage e patrocini, indispensabile cinghia di trasmissione tra il mondo della formazione e quello del lavoro?