L'Intelligenza Artificiale e l'Organizzazione

di

Luciano Martinoli
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22 novembre 2019

La promettente tecnologia dell’Intelligenza Artificiale preannuncia, come le precedenti rivoluzioni tecnologiche, la scomparsa di alcune tipologie di lavoro e l’emersione di nuove. Ovviamente ci si interroga sul “saldo” finale, ovvero quanto numericamente i nuovi posti supereranno quelli che scompariranno. Fin qui nulla di nuovo; infatti anche in passato, dalla macchina a vapore al computer, abbiamo assistito ad analoghi capovolgimenti. La novità consiste nel fatto che si invade, per la prima volta, un terreno che sembrava dominio esclusivo delle attività umane: pianificazione, previsione, classificazione, riconoscimento, e altre ancora.

 Una prima ovvia, ma sempre dimenticata, considerazione è che tali progressi continuano a dimostrare la capacità degli esseri umani, creatori delle macchine, nel rendere “calcolabili” sempre più compiti e non che le macchine diventano (da sole) intelligenti; con il quesito ancora irrisolto riguardante una definizione formale ed esaustiva di “intelligenza”. Ciò che sappiamo di sicuro infatti è che le macchine, quelle che conosciamo oggi ovvero i computer, sono e saranno solo semplici calcolatori, come si sa fin dagli anni ’30 del secolo scorso grazie ai lavori di illustri matematici (Turing, Godel, Tarski, Goldbach e altri). Dunque qualsiasi cosa vorremo far fare a queste macchine dovrà essere ridotto a calcolo: anche il software per l’attività più sofisticata dovrà descriverlo in questi termini. 

Fatta questa doverosa introduzione, ad oggi tutto il clamore sull’AI e il mondo del lavoro si concentra sui compiti, o tasks, che le macchine potranno svolgere al posto degli esseri umani. Ma che impatti avrà tutto questo sull’organizzazione? E’ possibile un’organizzazione fatta di esseri umani e macchine o solo di queste?

Da un punto di vista sistemico l’organizzazione è un sistema sociale il cui ambiente sono sia le persone che altri sistemi, tra questi certamente le macchine. La caratteristica peculiare dell’organizzazione, il suo metabolismo, la raison d’être o, utilizzando un termine sistemico, la sua autopoiesi, è la rete di “decisioni”.

Una decisione non è un calcolo (per approfondimenti consultare qui). Un calcolo si basa su una conoscenza condivisa che ha fornito risultati accettabili e ripetibili all’interno di un certo contesto. Due più due fa quattro per chiunque conosca e accetti la matematica, senza ulteriori discussioni e possibilità di scegliere un risultato diverso.

Una decisione è invece una conseguenza di una scelta tra opzioni equivalenti. Se tra queste ve ne fosse una migliore di un’altra non sarebbero equivalenti e non vi sarebbe la necessità di decidere: la scelta cadrebbe immediatamente su di essa. La decisione ha inoltre una funzione essenziale per le organizzazioni: assorbire l’incertezza dell’ambiente. Decidere dunque significa cancellare temporaneamente tale incertezza la quale però si ripresenterà, in forma diversa, obbligando l’organizzazione a ulteriori scelte, basate sulle precedenti, in un percorso senza fine che terrà in vita proprio per questo le organizzazioni. Potremmo allora anche dire che le organizzazioni, di qualsiasi tipo, nascono come “tecnologia” sociale per assorbire incertezza. Senza incertezza nel mondo non ci sarebbe necessità di avere organizzazioni.

E’ allora possibile assorbire incertezza con un calcolo, ovvero con le macchine e dunque con l’Intelligenza Artificiale? I nostalgici, e forse anche inconsapevoli, sostenitori del determinismo, secondo i quali, in accordo con Laplace, ogni stato del mondo è determinato dallo stato precedente e determina quello successivo, sosterrebbero di sì. Purtroppo secoli di osservazioni scientifiche hanno dimostrato che tale principio è un’astrazione utile per applicazioni specifiche, in ambiti spaziali e temporali limitati dei quali abbiamo già toccato i confini. Vasti territori della realtà, nella conoscenza e nella vita quotidiana, dalla fisica quantistica ai fenomeni sociali, sfuggono a tale spiegazione.
Il calcolo allora può risolvere l’incertezza in ambiti ristretti, predeterminati e con criteri stabiliti ex ante che saranno tanto più efficaci quanto più saranno ristretti e circoscritti, tanto meno quanto più saranno generici. Ecco perché le macchine capaci di giocare a scacchi battendo umani sanno fare solo quello, mentre lo sconfitto è in grado di fare altrettanto bene molte altre cose.

Dunque l’organizzazione, da questo punto di vista e dalla prospettiva sociale, non può essere fatta da sole macchine a meno che il mondo in cui operi sia certo e invariante (o variabile secondo criteri prevedibili).
Possiamo avere organizzazioni, ovvero sistemi sociali, in forte relazione (in accoppiamento strutturale) con sistemi tecnologici e in questo caso vedremo o una loro maggiore efficacia sull’economia (più produttività, profitti, ecc.) o dimensioni più ridotte dell’organizzazione stessa o entrambe le cose.
Più intelligenza artificiale nelle aziende, a parità di attività, potrebbe anche essere una misura della banalità delle operazioni che sono alla base della sua operatività. Sostituire esseri umani con AI significa accorgersi che c’è poco da decidere, che molto è calcolabile, e l’incertezza è prevedibile. In alcune nicchie può essere vero, ma se la tendenza dovesse generalizzarsi, come molti analisti prevedono, non sarebbe un equivocabile segno della decadenza del nostro sistema economico e del senso perduto di fare “impresa” in termini sociali?
E se, ancora peggio, per far funzionare le macchine in contesti prevedibili, ci fosse la tentazione di creare le migliori condizioni per loro uniformando l’intera società a regole scritte da… qualcuno (riproponendo ricorsi storici già drammaticamente vissuti)?

Luciano Martinoli

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