Il sindacato di Google: ritorno alle origini o necessità sociale?

19 febbraio 2021

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E’ notizia di qualche settimana fa la volontà di alcuni dipendenti Google di costituire un sindacato. E’ un precedente importante nel settore high-tec, finora per nulla sindacalizzato. I dipendenti Google godono di un pacchetto salariale e vari benefit il cui costo medio si aggira, secondo dati ufficiali del 2019, intorno ai 260.000 dollari. Dunque certamente l’esigenza non nasce dalla necessità, come accadeva agli albori del sindacato, di negoziare un miglior trattamento economico.

L’intento, secondo alcuni membri della neo costituita organizzazione, è quello di discutere con l’azienda le sue attività e le sue politiche. Infatti già nel 2018 migliaia di dipendenti organizzarono un corteo di protesta per la cultura del lavoro che, a loro dire, promuove e protegge i responsabili di molestie sessuali. In precedenza avevano già criticato il lavoro dell’azienda per il Dipartimento della Difesa e il suo piano per indagare su un motore di ricerca per i cittadini cinesi.   

Dal canto suo Google afferma, per voce del suo capo del personale, che “abbiamo sempre lavorato duramente per creare un ambiente di lavoro favorevole e gratificante per la nostra forza lavoro. Ovviamente i nostri impiegati hanno diritti di lavoro intoccabili e che noi supportiamo. Ma come abbiamo sempre fatto, continueremo a relazionarci con tutti i nostri dipendenti.”
Allo stesso tempo l’anno scorso l’azienda ha annunciato cambiamenti nel come tratterà le accuse per abusi sessuali e rende disponibile un fondo di 310 milioni di dollari per iniziative per favorire l’inclusione e promuovere la diversità di genere e di razza al suo interno.

Quanto sia tossico in generale l’ambiente di lavoro della Silicon Valley, ce ne dà notizia un recente memoir di Anna Wiener intitolato La Valle oscura, dove l’autrice racconta la sua esperienza diretta di “misoginia, razzismo e fricchettonismo estremo”. Dunque problematiche non relative ad un’unica azienda ma ad un distretto industriale che sta mostrando sempre di più la sua altra faccia, nonostante, nel caso di Google, gli impegni formali (dichiarazioni) e sostanziali (fondi per iniziative).

Perché allora l’esigenza di un sindacato?
Perché i singoli, che pure hanno possibilità di dialogare con i propri responsabili, non riescono a porre un freno a queste derive?
Perché nonostante i compensi da favola, non ci si accontenta di questi e si tollerano i comportamenti estremi?

A mio avviso vi sono almeno due spiegazioni.
Il primo è di carattere psicologico delle persone. E’ evidente che la soddisfazione sul lavoro da parte dei lavoratori della conoscenza passa anche, proprio perché chiamati a lavorare con l’intelletto, dal rispetto del ruolo loro e degli altri, dalla preoccupazione etica sul risultato delle loro attività, dal desiderio di conoscere gli obiettivi delle organizzazioni per le quali lavorano.  La Silicon Valley aveva creato un nuovo patto per il lavoro con i propri dipendenti, fatto di lauti compensi ed estrema flessibilità per coinvolgerli in maniera quasi intima alle sorti dell’impresa. Questi, a loro volta, hanno accetato di buon grado il coinvolgimento e, di conseguenza, richiedono sempre più di conoscere gli intenti finali di queste aziende. Se vogliamo sta emergendo una sorta di effetto secondario, certamente non desiderato da parte delle big tech, di ciò che queste aziende hanno offerto negli anni ai loro dipendenti.

L’altra spiegazione, di carattere più ‘sistemico’, è che i singoli possono certamente relazionarsi con altri singoli ma non possono pensare di farlo allo stesso modo con le organizzazioni. Un’organizzazione non ha orecchie, non ha occhi, non ha sentimenti perchè non ha un corpo e un sistema psichico. Ciononostante è in grado di comunicare ma con operazioni che non sono quelle delle persone. Tali operazioni, che stabiliscono il loro procedere e la loro esistenza, sono, per quanto riguarda il proprio interno, i canali di comunicazione all’interno degli organigrammi, i rapporti gerarchici, le procedure che disciplinano le attività e la comunicazione con i dipendenti e tanto altro.

Lamentarsi col proprio capo, o col suo responsabile, è una relazione tra singoli individui e non ha nessun effetto organizzativo se l’organizzazione non l’ha previsto con gli strumenti che ha a disposizione. Un comportamento scorretto, per l’organizzazione, è tale solo se viene da essa ufficialmente riconosciuto. Se così non è allora le persone “capo” nulla potranno fare se non essere personalmente solidali con chi gliene parla.

La decisione di creare un sindacato allora è la necessità sistemica di creare un soggetto-sistema che possa interagire con un altro soggetto-sistema che ne condivide la sua natura sociale: l’azienda. Questo è accaduto in passato per rivendicare migliori salari e condizioni di lavoro in fabbrica come nelle miniere. Oggi sta accadendo nelle aziende tecnologiche per motivazioni più vicine al core business perché il core business sono le persone stesse. E non è il semplice unione fa la forza che motiva la costituzione di un sindacato, ma la necessità di porre davanti al sistema azienda un altro sistema che ne condivida la natura sociale e che quindi potrà interloquire e farsi capire al di là delle dimensioni personali dei singoli componenti. Volendo ricorrere alla metafora sistemica, la costituzione del sindacato è la necessità da parte dei singoli di creare un sistema che faccia parte, in modo più efficace, dell’ “ambiente” dell’azienda; entrando in relazione e comunicando secondo modalità che il sistema azienda è in grado di comprendere.

Da questo punto di vista probabilmente l’esistenza di soggetti sociali autonomi tra i dipendenti (il sindacato o sue forme più evolute) è qualcosa che non dovrebbe essere scoraggiato ma addirittura incentivato per consentire all’organizzazione aziendale di comprendere nell’unico modo capace di farlo, quello della comunicazione tra soggetti simili (che non sono le singole persone).

Luciano Martinoli