di
Luciano Martinoli
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19 settembre 2019

Sull’ultimo numero della rivista Harvard Business Review, è stato pubblicato un articolo su un problema abbastanza comune nelle organizzazioni aziendali: la prevalenza delle metriche sulla strategia.
La strategia aziendale dovrebbe indicare una direzione articolata in uno o più scopi, le relazioni con gli stakeholder, il posizionamento desiderato, eccetera.
Le metriche sono un modo per dare concretezza alla strategia e permettere di verificare, “misurando” appunto, se vengano realizzate o meno. Così facendo vi è inoltre la possibilità di incentivare la realizzazione della strategia erogando compensi e incentivi legati alle metriche.
Sembrerebbe perfetto!

Purtroppo la pratica quotidiana dimostra che le cose non procedono proprio così e si assiste molto spesso, quasi sempre, ad un processo di “surrogazione” ovvero l’attenzione di tutta l’organizzazione che cade sulle metriche dimenticandosi della strategia da realizzare. E’ un fenomeno che può essere paragonato al proverbio «Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito» . Qui però non si tratta di saggi e stolti, ma di quanto il legame strategia-metriche-incentivi sia ben costruito e quanto forte, o debole, sia ogni singolo anello di questa catena.
Infatti il fenomeno della surrogazione, guardare il dito invece della luna che indica, è abbastanza comune in assenza di chiarezza o incapacità di osservare l’astro: il dito è vicino, visibile, concreto.

I danni della surrogazione sono abbastanza noti e diffusi. Nell’articolo si parla del caso della banca americana Wells Fargo, dove alla strategia di costruire una relazione a lungo termine con i clienti gli è stata data una forma metrica di vendita e cross-selling aggressiva. Questa ha portato l’organizzazione a erogare prodotti non richiesti dai clienti e causato successivamente multe di centinaia di milioni di dollari alla banca. Abbastanza diffuso poi è il concetto, oggi per fortuna in discussione, dello “shareholder value”, una metrica devastante che ha fatto perdere di vista gli scopi dell’azienda a danno del contesto in cui opera; un paradigmatico esempio di surrogazione. Da questa prospettiva può essere giudicato il recente caso Atlantia con le dimissioni del suo Ceo Castellucci: in 14 anni ha portato l’azienda da 3 a 11,34 miliardi di fatturato, la cedola da 0,62 a 0,9 euro ma con un balzo dei debiti da 9 a 38 miliardi e una diminuzione degli investimenti che nel 2006 erano circa il 14% del fatturato e l’anno scorso il 10,5% (dati ilsole24ore). Le recenti indagini su false perizie, mancate manutenzioni, crollo del ponte Morandi con le sue 43 vittime potrebbero completare il quadro, ma spetta alla magistratura accertare le responsabilità. Di sicuro le similitudini con la Wells Fargo sono evidenti (morti a parte).

Dunque la surrogazione è un grave pericolo per le aziende, ma come porvi rimedio?

Il primo, suggerito anche dagli autori della ricerca menzionata nell’articolo, è coinvolgere le persone responsabili della realizzazione della strategia nella sua stessa definizione. Ciò consentirà loro di sapere come interpretare correttamente le metriche (guarderanno la luna) di fronte ai mille casi non previsti o in conflitto con le stesse metriche che si presenteranno sul loro quotidiano cammino di lavoro.

Cosa significa però “coinvolgere nella realizzazione della strategia”? Come realizzare in maniera ordinata ed efficacia, rispettosa delle competenze specifiche di ogni gruppo e delle gerarchie, una progettazione strategica di tal tipo?

Ad oggi i tentativi fatti non sempre hanno prodotto i risultati sperati e si continua ad alimentare il pericolo della surrogazione. C’è dunque bisogno di una prospettiva diversa sull’organizzazione che suggerisca un processo di ingaggio nuovo.
E’ uno dei temi che tratteremo nel prossimo seminario che ha proprio questo scopo.

Luciano Martinoli
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