Contro la “Ossessione Metrica”

23 ottobre 2022

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Sarà disponibile a breve la versione italiana di Beyond Measure: The Hidden History of Measurement(Oltre la Misura: La Storia Nascosta della Misurazione) di James Vincent, del quale è disponibile un estratto adattato sul numero 1480 della rivista Internazionale del 30 settembre.

Il libro affronta il tema della misurazione, i suoi eccessi e significati fin dalle origini dell’umanità.

Il tema e le preoccupazioni legate ai suoi eccessi non sono nuovi. Ad esempio se ne era già occupato qualche anno fa il Professor Jeremy Z.Mueller con il suo The Tyrrany of Metrics (versione in italiano Contro i Numeri). Qui l’autore racconta e dimostra come la misurazione delle prestazioni delle attività umane, trasformatasi ormai da approccio a ossessione, stia minacciando gli sviluppi di vari campi di attività: dall’istruzione alla medicina, dal business alla politica.

Scrive Mueller:

Viviamo nell’era della responsabilità misurata, della ricompensa per le prestazioni misurate e dell’importanza di pubblicizzare queste misurazioni attraverso la ‘trasparenza’. E anche se la misurazione in sé non è una cosa negativa, ‘una misurazione eccessiva o inappropriata’ distorce, devia e distrugge ciò che sosteniamo di valutare.”

Parla di “ossessione metrica”, un concetto onnipresente che pervade non solo il settore privato, ma anche le attività meno quantificabili come quelle dello stato, della sanità e della sicurezza.

Muller non afferma che le metriche siano sempre inutili ma che ci aspettiamo troppo da esse come strumento di gestione. Per esempio, se un gruppo di dottori raccoglie e analizza dati su risultati clinici, probabilmente impareranno qualcosa insieme. Se bonus e promozioni sono legati ai numeri, l’esercizio non insegnerà nulla a nessuno e può arrivare ad ammazzare i pazienti. Molti studi (negli USA) hanno trovato evidenze di chirurghi cardiaci che hanno rifiutato operazioni ai pazienti più gravi per paura che abbassasse il loro tasso di successo.

 

 

“La misurazione non è un’alternativa al giudizio”

L’autore poi riassume, nel capitolo finale, la sua posizione:

“La misurazione non è un’alternativa al giudizio. La misurazione richiede un giudizio: giudizio sull’opportunità di misurare, su cosa misurare, su come valutare il significato di ciò che è stato misurato, sull’eventuale attribuzione di premi e penalità ai risultati e su chi rendere disponibili le misurazioni”

Dunque uno strumento da consegnare alle singole professionalità e non per controllarne il loro operato.

Ancor prima, 1980, un giornalista esperto di tecnologia, Gary Wolf, già prevedeva con grande anticipo l’inizio dell’era dei dati e della quantificazione nel suo articolo The Data-Driven Life (La Vita Guidata dai Dati). Citando i casi di alcuni fanatici dell’epoca che, anticipando l’era dei dispositivi indossabili e degli smartphone, misuravano tutti gli aspetti prestazionali della loro vita (caffè bevuti, passi giornalieri, calorie ingerite, eccetera), arrivava alla seguente conclusione:

Il feticismo per i numeri è il tratto distintivo del manager moderno”

Oggi la disponibilità di nuove tecnologie sempre più pervasive (Big Data, Internet of Things, AI, eccetera) penso che renda questo feticismo un assillo permanente in tutti i campi di attività umana, dal mondo del lavoro alla sfera professionale. Vorrebbe farci credere che il mondo sia “calcolabile” riproponendo un novella visione Laplaciana (dal fisico francese Pierre Simon Laplace, 1749-1827) secondo la quale ogni stato dell’universo è determinato da quello passato e determina il successivo. Basta conoscere, misurandolo, lo stato di tutte le parti di un sistema in un dato istante (Big Data) ed ecco che il futuro, opportunamente e “intelligentemente” calcolato (AI), si svela ai nostri occhi.

Anche se in alcuni ambiti ben specifici sono stati raggiunti risultati importanti, ma non definitivi, la pratica scientifica, dalla fisica alla matematica passando per la biologia ed altre ancora, ha verificato, sia teoricamente che sperimentalmente, che questo approccio è e può essere solo uno degli strumenti di indagine della realtà. Un bisturi per affettare il mondo, tranciare le relazioni di questa porziuncola con tutto il resto e rendere la sua complessità a noi più comprensibile. Peccato che proprio quelle relazioni sono gli elementi indispensabili per una piena, ma irraggiungibile, comprensione della realtà. Ed è il nostro giudizio e la nostra autodeterminazione che devono guidare le nostre scelte in questa delicata operazione della quale dobbiamo prenderci la piena responsabilità.

Le modalità di alcuni manager di voler giustificare le loro scelte basandosi sui numeri e le misurazioni, possono oscillare tra due motivazioni estreme tra loro. La prima evidenzia una sorta di “codardia” nel volersi nascondere dietro numeri e misure, rinunciando (perché incapaci?) di prendersi la responsabilità di una reale Decisione spacciandola, invece, per un fatto oggettivo risultante da un calcolo. Nella seconda, viceversa, sono coraggiosamente utilizzati allo scopo di convincere e tranquillizzare gli interlocutori (ad esempio gli stakeholder in azienda) su scelte che nascono da Decisioni prese dai manager stessi secondo il proprio giudizio e sensibilità, con piena e totale responsabilità.

Ma anche la prima motivazione, a ben vedere, è una versione socialmente mascherata della seconda. Infatti qualsiasi numero e qualsiasi misura su di esso è sempre frutto, alla base, di una scelta spesso fatta da noi o più frequentemente da altri. Nel mondo non ci sono numeri. In giro non si vedono dei “4” o dei “3,141592” ma solo oggetti o eventi. I numeri sono esclusivamente nella nostra mente e siamo noi che li affibbiamo, in maniera totalmente arbitraria, al mondo per approssimarlo e comprenderlo meglio. Analogamente inventiamo dei calcoli su di loro per costruire relazioni e arrivare a conclusioni le quali, considerando i presupposti, saranno anche loro arbitrari, per quanto prossimi ad alcune evidenze.

I numeri e le misure possono certamente essere utili, ma, come tutte le cose della vita, non possono essere un’ossessione. Dobbiamo imparare, a volte, a prendere le distanze da loro e lasciar più spazio al giudizio, anche, e forse soprattutto, quello di quando e come utilizzarli.

Luciano Martinoli