Davos è una “danza della pioggia”

di

Luciano Martinoli
[email protected]

20 gennaio 2020

Dal sito dell’organizzazione che organizza ogni anno in Svizzera l’incontro tra i leader mondiali, si legge

Il World Economic Forum è l’organizzazione internazionale per la cooperazione pubblico-privato. Il Forum coinvolge i maggiori leader politici, economici, culturali e di altri settori della società per modellare le agende globali, regionali e dell’industria

Quest’anno si celebra il cinquantesimo incontro di questo tipo ed è lecito indagare se vi sia un legame tra gli sviluppi dell’economia di questo mezzo secolo e le attività del Forum. In un sistema sociale così complesso, come è diventata l’economia del nostro pianeta, è difficilissimo trovare elementi causali dei fenomeni che di volta in volta appaiono spesso a sorpresa.
Già nelle intenzioni del suo fondatore, Klaus Schwab, vi era l’idea di creare una “piattaforma dove gli stakeholder possano incontrarsi” ma tali incontri non hanno portato a un granchè se ancora oggi si discute, ad esempio, sulla priorità che le aziende devono dare rispetto all’interesse, oggi principale, degli azionisti.
Ma allora a che serve Davos (e i G8, gli incontri bi e multilaterali e, più nel piccolo, le assemblee degli azionisti e degli operai, ecc.)?

La vita organizzativa è piena di
“contraddizioni necessarie”

Più che risolverle serve una mappa per navigarci dentro

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Milano 28 febbraio 2020

Una possibile risposta ci viene dalla Teoria Generale dei Sistemi. Nella società attuale, differenziata funzionalmente tra vari sistemi sociali altamente specializzati (economico, giuridico, politico, scolastico, ecc.) non vi è la possibilità che questi possano essere governati dall’esterno: essi evolvono autonomamente secondo le loro strutture. Di fronte alla impossibilità di plasmare il mondo sociale che abitiamo secondo i nostri ideali, desideri o intenzioni, come l’esperienza cinquantennale di Davos dimostra, cosa possiamo fare?
Da un punto di vista sistemico, creiamo utopie: l’ordine liberale del libero mercato, la giustizia del benessere socialista, l’economia del mercato sociale e lo stato del welfare, e altro ancora.
La realizzazione di queste utopie, da realizzare nei vari sistemi sociali, è demandata alla politica.

L’utopia politica è così la forma attraverso la quale l’incontrollabilità della società è trascritta nel sistema politico”*

Accettando questa prospettiva è possibile mettere a confronto le promesse dei politici che pretendono di poter influenzare l’economia (capitalista) con le danze della pioggia degli indiani Hopi, e attribuire la stessa importante funzione a entrambi: diffondere l’impressione che qualcosa è stato fatto piuttosto che semplicemente aspettare che le cose cambino per conto loro*.

Da questo punto di vista sia Davos che la danza della pioggia sono “abbastanza impotenti, e hanno effetti del tutto impredicibili sull’economia e sulle condizioni atmosferiche. Tuttavia ambedue soddisfano funzioni sociali chiave: non solo forniscono il conforto di una sensazione che “qualcosa è stato fatto”, ma, e forse in modo ancora più importante, assumono un elevato significato sociale. Una danza della pioggia era certamente un evento rilevante nella vita religiosa nativa americana, e oggigiorno il summit di Davos è un evento di alto prestigio politico internazionale. Proprio come qualcuno potrebbe, presumibilmente, guadagnare un alto status sociale nella comunità nativa americana svolgendo il ruolo principale in una danza della pioggia, essere un oratore in un meeting di Davos non mancherà di migliorare notevolmente il curriculum di un politico. Sia la danza della pioggia che il summit creano una “perturbazione”: diventano
inevitabilmente sia l’oggetto di conversazione della cena di una famiglia indiana che la copertura mediatica del Telegiornale nell’ora di punta. Pertanto una danza della pioggia e Davos non sono tanto interessanti per meteorologi ed economisti quanto per antropologi e sociologi.”*

Sia Davos che la danza della pioggia, però, non devono essere liquidati come inutili. Essi infatti sono entrambi importanti eventi sociali nei rispettivi ambienti sociali, nonostante non siano in grado di governare le condizioni atmosferiche o l’economia.

Analogamente in altri ambiti sociali vi è la necessità di questi riti per consentire ad un sistema di andare avanti. E’ ingenuo però pensare che tali riti possano modificare sistemi diversi da quelli in cui si svolgono: l’economia evolve da sola con gli scambi economici mondiali e non certo a Davos, così come la danza della pioggia di certo non modifica le condizioni atmosferiche.

Parlando di un sistema più piccolo come quello aziendale, un piano strategico creato nella solitudine dell’ufficio del grande capo, al limite con l’aiuto di qualche consulente di una delle varie società di grido, e presentato all’assemblea degli azionisti o alle banche, non cambierà le sorti dell’azienda ma servirà a rigenerare il sistema sociale fatto dall’azienda e i suoi finanziatori.

E’ allora impossibile fare qualcosa? No, ma è molto difficile, come evidenze in tutti i settori dimostrano.
Una possibilità deriva dalla chiarezza sui sistemi coinvolti, la consapevolezza della loro differenziazione e natura, e il riconoscimento e lo stimolo della loro autonomia. 

Luciano Martinoli

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*“Per comprendere Luhmann” di Hans-Georg Moeller ed. IPOC